#ArtistFocus: Twenty One Pilots - 4 Tracks

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Columbus, Ohio 2009.
Tyler Joseph, Nick Thomas e Chris Salih, nonché tre amici delle superiori, decidono di unirsi, durante gli anni del college, per avviare una band: i Twenty One Pilots (stilizzato come TWENTY ØNE PILØTS o semplicemente twenty one pilots). 
Il nome dell'ex trio, ora popolare ai più come un duo, potrebbe sembrare a primo acchito privo di logica. In realtà, come ha spiegato il fondatore Tyler agli inizi della loro attività, deriva dall'opera teatrale del celebre drammaturgo americano Arthur Miller. Ovvero All My Sons (in italiano tradotta Erano tutti miei figli) che narra la storia di un uomo, Joe Keller, imprenditore di una fabbrica, che vende sul mercato componenti d'aerei difettosi per l'aeronautica militare statunitense durante la seconda guerra mondiale. E che proprio a causa di ciò si macchia la coscienza della morte di ben 21 piloti appunto.


La band ottiene, come molti sanno, notorietà sopratutto grazie al loro quarto album Blurryface: dal quale verranno estratti diversi singoli e la conseguente hit mondiale Stressed Out. Purtroppo però ben pochi sono a conoscenza dei lavori precedenti ad esso, del fatto che in realtà erano partiti come un terzetto e dell'inestimabile talento che si cela dietro essi.
Ed è proprio per questo motivo che ho deciso di assumermi l'onore e gli oneri di illustrarveli.


Fin dal progetto discografico di debutto, l'eponimo Twenty One Pilots risalente al 2009, si percepiscono le prorompenti capacità di questo gruppo capace di mescolare egregiamente rap e pop con influenze e suoni estrapolati dai generi tipici dell'indie e dell'alternative music. Ed è proprio da lui, l'unico album alla cui lavorazione si cimentano i tre iniziali componenti, autoprodotto, e praticamente sconosciuto, che ho deciso di intraprendere questo percorso d'apprendimento assieme. Nello specifico esaminando il pezzo #2 della tracklist: Fall Away.


Contenente 14 tracce, se ascoltato ed esaminato con occhio critico, e, sopratutto confrontandolo con i lavori a seguire, risulta essere il più acerbo e meno delineato. Ci troviamo in ogni caso e senza ombra di dubbio al cospetto di un CD di ottima fattura. In Fall Away possiamo notare come i versi rap siano fusi con sound pop elettronici lenti e "decadenti". Per quanto l'album appaia poco incisivo nella visione d'insieme è contemporaneamente coeso a se stesso e suggestivo. Traccia dopo traccia veniamo cullati e condotti in un sentiero musicale cupo, peculiarità che ritroveremo ciononostante parimenti nei progetti a seguire, dove il ritornello la fa da padrone prendendo in mano le redini del tema:

"I don't wanna fall, fall away
I don't wanna fall, fall away
I'll keep the lights on in this place
'Cause I don't wanna fall, fall away"

La voce tremante dell'allora front man Tyler Joseph, per quanto intoni fin dai primi secondi "io non voglio cadere" costringe l'ascoltatore comunque a cadere inesorabilmente e a farsi trasportare grazie dal sottofondo echeggiante che fa da contrappunto al suo tono sbiascicato. Melodia lineare che troverà però un forte scontro con la componente rap nella quale la titubanza di prima, espressa di getto, con velocità, scompare appieno.
E se con Twenty One Pilots l'omonima band non riesce a raggiungere fin da subito il successo si aggiunge anche l'episodio che vede i due componenti Nick Thomas e Chris Salih (rispettivamente al basso e alla batteria) abbandonare il gruppo. 


E' appurato come con Vessel, il neo duo che vede l'aggiunta del batterista Josh Dun nel 2011, riesca a fare un salto di qualità. Vessel è infatti il terzo album in ordine cronologico, primo sotto un'etichetta discografica come supporto, ma solo secondo con i due componenti a collaborare, e che inizia ad aprirgli le porte del grande pubblico.
Preceduto dal lavoro Regional at Best (pure questo autoprodotto), di cui alcune tracce vengono remixate e rielaborate per poi vedere nuovamente luce in Vessel, e dall'EP three songs, che anticipa l'era imminente, Vessel risulta essere un CD poliedrico e composito. Innegabilmente acquista una maturità elevata, che vedremo all'acme con Blurryface.
Prima traccia di cui vi parlo è Holding On To You, singolo apripista e dalle sonorità martellanti.


Questo, come altri cinque pezzi, li possiamo trovare pure nel loro secondo album (Regional at Best). La differenza fra l'originale, quello appartenente a Regional at Best, e questo, è certamente la presenza costante della batteria accompagnatrice per l'intera durata della canzone.
Nella prima versione infatti funziona maggiormente da sottofondo, mentre in Vessel esplode aiutando la parte rappata a rimanere impressa nelle nostre menti. Ciò accade anche per il ritornello:

"You are surrounding all my surroundings,
Sounding down the mountain range of my left-side brain,
You are surrounding all my surroundings,
Twisting the kaleidoscope behind both of my eyes"

Il ritmo rallenta, lasciando spazio ad un motivetto sibillante, spensierato e quasi allegro, simile ad un fischiettio, dove però la batteria, assieme alla voce scattante e giocosa del cantante, rimane la protagonista principale del pezzo. Anche in questo caso troviamo un contrasto fra la componente rap, senza pause e detta tutta d'un fiato, e il resto della canzone, in un continuo prevalere di note prima veloci e poi calme.
Continuiamo con Car Radio, anche questa la possiamo trovare sia nel secondo che nel terzo album del duo, le differenze fra esse sono pressoché minime.


Qui l'influenza elettronica è certamente più presente.
Il cantanto/rappato risulta pressoché inesistente, è fortemente centellinato, occupa invero un frammento meno rilevante nella totalità della canzone. Lo troviamo nel ritornello e nella parte iniziale, dove le rime vengono accuratamente usufruite come stacco per dare libero sfogo alla base trascinante e quasi ipnotica:

"I ponder of something terrifying
'Cause this time there's no sound to hide behind
I find over the course of our human existence
One thing consits of consistence..."

Medesima osservazione può essere espressa nei confronti dell'utilizzo delle percussioni, anch'esse sono meno presenti ma svolgono come al solito un ruolo fondamentale. Possiamo quindi sottolineare come l'intera traccia possa essere suddivisa in due porzioni: nella prima avviene ciò che ho appena descritto, mentre nella seconda i suoni elettronici si arrogano con prepotenza la responsabilità dell'andamento del brano, per poi avviarsi e fondersi in un connubio bilanciato con le sonorità rimanenti, dando vita ad vortice armonico unico ed inimitabile.
Chiude l'articolo un pezzo appartenente sempre a Vessel: Screen.


La base elettronica influenza il pezzo nella sua totalità, ma nonostante ciò risulta comunque una track che si distacca abbastanza da quelle appena affrontate e in generale con il concept intero dell'album di appartenenza. È difatti leggermente più sperimentale rispetto agli altri. Anche qui possiamo trovare una componente cantata e una rappata, che però si equilibrano a vicenda senza che l'una prevalga sull'altra; canto, con il timbro tipico di Tyler Joseph, supportato da un coro verso la parte finale della canzone che aiuta a dare al brano una carica e un valore aggiunto.
Altra caratterizzazione che è possibile affibbiargli è il motivo dolce, a tratti favolistico, che oltre a servirsi come accompagnamento fra le varie strofe, apre e chiude la melodia.

Questo era l'ultimo pezzo che ho deciso di esaminare.
Per ovvie ragioni ho preferito evitare di rendere argomento di analisi il materiale appartenente al loro ultimo sforzo discografico, dato che a grandi linee è conosciuto abbastanza. Spero di esservi stato utile e di avervi aiutato ad approfondire questo duo di immenso talento.

(L'articolo è stato nuovamente postato dopo alcuni problemi avuti con il sito. Se vi ha fatto piacere rileggerlo lasciate pure un nuovo commento.)

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