Alla fine Lorde, come abbiamo ben visto, ha fatto la scelta più ragionata: prendersi un lungo periodo di pausa e scomparire quasi del tutto dai radar (escludendo un eccellente tributo a David Bowie eseguito ai Brit Awards della scorsa annata e la collaborazione con i Disclosure).
"Melodrama" porta grandi cambiamenti e una ventata di novità nella discografia della Nostra, su tutti i fronti. Lorde debutta (con successo) come produttrice principale e abbandona il confortevole sound di Joel Little per collaborare, tra gli altri, con Jack Hantonoff, Malay e Flume. Esattamente come la (splendida) copertina, si tratta di un disco variopinto e contrastante. Se "Pure Heroine" rappresentava il mondo visto dagli occhi critici di un adolescente, in "Melodrama" Lorde -ormai giovane donna- quel mondo inizia a viverlo, con tutte le relative difficoltà (anche amorose).
"Green light", prima traccia e primo singolo estratto, è la canzone pop dell'anno: una improbabile cavalcata dance retta da un mutevole pianoforte e da synth cristallini; speranzosa negli intenti ma decisamente schietta, in linea con il songwriting dell'autrice (ormai un trend-mark).
Seguono la stessa scia frizzante "Sober", con le sue trombe e i suoi fraseggi art-sy, e "Homemade Dynamite", dal cadenzare sincopato e nebuloso. Ma, oltre alle vivide uptempo, la sorpresa più grande è scoprire il lato prettamente cantautoriale di Lorde grazie alle raffinatissime ballate inserite nel cuore del disco. La spoglia piano-driven "Liability" ci presenta la migliore performance vocale della cantante ad oggi (è un colpo al cuore sentirla parlare di "responsabilità" nello stesso testo in cui inserisce frasi come 'The truth is I am a toy that people enjoy 'til all of the tricks don't work anymore'). "Sober II" riprende il discorso lasciato in sospeso dalla sua controparte -la mattina seguente, in preda al post-sbornia, quando è tornata la lucidità- ed è dominata da un'eterea (quasi purificante) sezione di violini che guida il conseguente flusso di pensieri. "Writer In The Dark", infine, tira fuori un'altra esibizione da brividi (qui si sente l'influenza di una certa Kate Bush) e si presenta come una delle canzoni d'amore (infelice) più poetiche delle ultime annate. Passando invece a produzioni più istrioniche, abbiamo la maestosa "The Louvre", sorretta da un solenne riff di chitarra elettrica alternato a bassi bombastici, e la mini-suite "Hard Feelings/Loveless", una dichiarazione di intenti -'We're L-O-V-E-L-E-S-S generation', afferma- altrettanto anomala nell'incedere.
La conclusione del disco è affidata però al trittico composto da "Supercut" e "Perfect Places", giunte insieme dal "Reprise" di Liability. La prima, con le sue ariose ed irresistibili pulsazioni pop dal sapore arena-rock, e la seconda, inno generazionale della portata di "Royals" (e suo possibile sequel morale), chiudono un cerchio ben definito fin dall'inizio.
Aspettare la luce verde del semaforo in trepida attesa di ripartire, per poi, una volta finalmente arrivata, domandarsi in quale luogo effettivamente andare 'What the fuck are perfect places, anyway?'. "Melodrama" non è il disco della maturità per Lorde, non è ancora pronta al grande salto. Tuttavia ci mostra un'artista in stato di grazia in grado, a soli venti anni, di essere una canta-storie pop pressoché perfetta.
Recensione scritta da: Alle (Understanding) e Lorenzo
Valutazione da parte dello staff:
84/100
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