Recensione Album: "Kala" di M.I.A.

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Cantautrice, rapper, regista, produttrice, attivista: Mathanghi "Maya" Arulpragasam, in arte M.I.A., è a tutti gli effetti un'artista con la A maiuscola, e di tale calibro, ad oggi, possiamo contarne purtroppo solo sulle dita di una mano.
Il suo debutto avviene nel 2005 con "Arular", un album brillante e creativo, un trionfo che permette agli ascoltatori di riuscire ad evadere dalla realtà circostante.
Vi troviamo infatti un mix di hip-hop, rap con un inglese rude e masticato, dance music e pop; per il tempo i sounds sono certamente innovativi, freschi ed inaspettati, e sembrano proiettarci dentro una sala giochi sinfonica.
Altrettanto si può dire del significato intrinseco dell'LP. Siamo travolti da una manifestazione di protesta politica radicata nei testi, nel ritmo, nelle continue metafore: gli deve essere destinata quindi una lettura, ed un ascolto, consistenti e maturi.
A due anni di distanza, nel lontano 2007, decide di tornare con un progetto che possiamo tranquillamente definire, per ora, il punto più alto della sua intera discografia, comunque costellata da pezzi assai validi, e, che in ogni caso, superano e stracciano di gran lunga il valore artistico medio di parecchi cantanti presenti nel music business contemporaneo.
Con "Kala" riesce a fare un passo ulteriore, col titolo preso dal nome della madre, in suo onore, il retroscena presente si basa sulla diatriba che la cantante ha dovuto sostenere per la sua illegittimità nell'ottenere un visto che le desse il nullaosta per registrare il CD negli Stati Uniti, e lavorare con i vari collaboratori interessati, espandendo di conseguenza il processo di produzione a tutto il globo: Jamaica, Australia, Trinidad, India, Liberia e molti altri.
Lo stile irriconoscibile rimane, ma si evolve, muta, scalpita, raggiunge un livello cosciente: controllo, femminismo e lotta vengono accostati in modo magistrale a beats e ritmi indiani, ad atmosfere esotiche ed orientali; Bollywood che incontra sia la tradizione che l'avanguardia musicale.
"Kala" è un progetto che funziona autonomamente sia grazie alla propria tavolozza sonora che estrapola una moltitudine di stili facendoli coesistere assieme, sia per la macchinazione a cui M.I.A. riesce a dar vita, che funziona con la musica stessa, facendosi portatrice di un immaginario ideologico che sostiene in modo appassionato ogni singola traccia.
Ed è proprio in onore dell'imminente release di "AIM" che si è deciso di pubblicare questa recensione.


Bamboo Banga

Introducendoci fin da subito nell'ottica del dualismo fra rinnovo e memoria musicale analizziamo "Bamboo Banga"; l'opening track di questo progetto può essere vista come una reinterpretazione moderna della canzone degli anni '70 "Roadrunner" della proto-punk band statunitense The Modern Lovers.
Il rombo automobilistico che si percepisce fin dai primi secondi vuole proprio sottolineare la questione legata al viaggio: come specificato precedentemente "Kala" è un album che è stato realizzato mentre Maya stava viaggiando, ed è con questo sottofondo che vuole rendere l'idea dell'avventura.
"Somalia, Angola, Ghana, Ghana, Ghana. India, Sri Lanka, Burma"; M.I.A. si fa portavoce del terzo mondo, e, campionando un pezzo del compositore indiano Ilaiyaraaja, descrive la propria canzone come una "natural banger" (banger in gergo britannico: pezzo accattivante) a cui vengono fatti diversi accostamenti naturali, dipingendola prima come una "bamboo banga", poi "jungle banga" e infine una "cold jammer", ovvero avente un ritmo freddo e insistente, a tratti paranoico.
Alla base di questa canzone c'è l'immagine di un bambino, un bambino povero, che corre e che "knocking on the doors of your hummer hummer": sta dicendo, in fondo, che al mondo esistono migliaia di persone sedute nelle loro Hummer, fuoristrada costosi, a visitare esotiche oasi africane mentre, nello stesso posto, altre stanno morendo di fame.


BirdFlu

Anche "BirdFlu", nonché primo singolo estratto, è un pezzo caratteristico e interessante, dove dissa il genere maschile pungendolo nel vivo, toccando il tema dell'oggettivazione del corpo femminile.
Questa volta il campionamento viene preso da una canzone della commedia romantica indiana del 2002 "Jayam" del musicista R. P. Patnaik.
Partendo fin da subito con carica M.I.A. se la prende con tutti i suoi detrattori e con l'inevitabile reazione negativa che una buona fetta di pubblico ebbe a causa dell'ottimo successo precedentemente ottenuto con "Arular", spiegando che ciò non cambierà niente dei traguardi raggiunti, che "Everybody knows I'm already good on the ground": lei ha qualità, è un'artista capace, si distanzia dai soliti prodottini commerciali adorati dalle masse.
"Then I go on my own. Making bombs with rubber bands": anche se il materiale a disposizione è poco, riesce comunque a tirare fuori qualcosa di incredibile e potente.
Successivamente interpella i ragazzi, gli uomini, che sì, la strada ha fatto diventare duri, dei "selfish little roamers", ma che vagano delle strade come delle prostitute alla ricerca di qualsiasi cosa, di ogni esperienza: "Jumpin' girl to girl", facendo sentire le donne come dei semplici straccetti di carne, "Make us meat like burgers".
Si occupa anche del problema della fame, citando le "Ghetto Pops" e i "Food Drops", tipologia di "cibo" molto comune nella aree povere: i Ghetto Pops infatti sono delle sorte di caramelle a basso costo che i bambini mangiano come surrogato dello zucchero. Mentre le Food Drops sono letteralmente delle "goccine alimentari", rifornimenti, che i soldati utilizzano come aiuto diplomatico quando arrivano in queste zone disabitate e malfamate per assisterle.


Boyz

In una totale combinazione di stili e influenze musicali presi dalle radici native e mixate a suoni elettronici, "Boyz", secondo singolo dell'era, vede M.I.A. lodare e parallelamente criticare gli uomini su vari tratti del loro carattere tipico.
Composta per esaminare le reazioni del pubblico al suo scrivere un pezzo apparentemente senza senso, il testo medita su come i ricchi e i leaders mondiali siano i primi a far partire costantemente conflitti, al contrario dei "no money boyz".
Continuando sulla riga del rich men vs no money boyz, M.I.A. ambienta la canzone ad un party chiedendo costantemente "How many tequilas in the place?", "Boys there?", "How many?", "How many dutty wine swing it away?". Qui è presente un ulteriore riferimento al folklore infatti la Dutty Wine è una danza tipica giamaicana.
La trafila di domande sembra non cessare mai, per poi arrivare al nucleo centrale del verso: "How many shots without the chase?". Con questa frase si ironizza sulla parola shots, lo shot infatti è il tipico bicchierino contente alcool che si beve direttamente dalla bocca con un sorso solo, qui si crea un doppio senso dal momento che attuando una lettura più profonda si può facilmente capire che è presente un riferimento allo shooting, l'azione dello sparare; M.I.A. infatti chiede in modo sarcastico quante persone dovranno essere uccise e fucilate prima che si arrivi ad un qualsiasi tipo di giustizia.
Ed è proprio col bridge che si tasta l'essenza del pezzo:

"How many no money boys are crazy?
How many boys are raw?
How many no money boys are rowdy?
How many start a war?"

Quello che inizia apparentemente come un brano futile leggero, in realtà si cela essere tutt'altro. I così detti "no money boyz" altro non sono che i ragazzi intrappolati nel mondo della povertà, costantemente a contatto col pericolo: proprio a causa di ciò non riescono a percepire il valore profondo della vita e sono spinti a fare atti sconsiderati che nemmeno loro sarebbero intenzionati a compiere.


Jimmy

Con "Jimmy" M.I.A. ha deciso di dar vita ad un pezzo disco-pop partendo da una cantica che di solito ballava da piccola assieme a sua madre; infatti è una cover di "Jimmy Jimmy Jimmy Aaja" presa dal film bollywoodiano "Disco Dancer". Canzone che è stata riorganizzata in una uptempo con influenze pop-electro e disco per l'appunto, modificandone inoltre l'orchestrazione, la strumentazione ed i battiti.
"Jimmy" ha un testo criptico e geniale, apre le danze con l'immagine di un certo Jimmy che "gone M.I.A.", infatti il nome dell'artista è un acronimo che sta per "Missing In Action".
Dal verso successivo si entra a tutti gli effetti nello spirito della canzone:

"When you go Rwanda, Congo
Take me on your genocide tour
Take me on a truck to Darfur
Take me where you would go"

Infatti la si potrebbe quasi definire come una sorta di storia d'amore alla vecchia maniera "to Darfur, Rwanda, Congo" tra la stessa Maya e un giornalista inglese, Ben Anderson (Jimmy), che invitò la donna ad un "genoicide tour" per tutta l'Africa.
Il brano continua basandosi appunto su questa relazione, M.I.A. invita Jimmy di "aaja", "Jimmy aaja, Jimmy aaja", ovvero di venire/avvicinarsi in Hinglish, una miscela fra inglese e hindi; nella seconda parte si approfondisce ulteriormente la descrizione del loro rapporto, Jimmy continua a inviarle segnali incerti, un momento infatti "You keep pushing that botton" ma allo stesso tempo "I don't know what you're saying".
Pezzo che si conclude con una dolce dichiarazione, "Jimmy, I love you". Essa dimostra che, nonostante i suoi giochi, M.I.A. è veramente interessata a Jimmy e vorrebbe che quest'ultimo fosse onesto.


Hussel feat. Afrikan Boy

"Hussel" risulta essere un pezzo piuttosto malinconico in cui si toccano temi quali il trambusto rapporto della cantante col proprio paese natio, i soldi, l'immigrazione e la controversa società africana.
Il tutto con l'aiuto del rapper Afrikan Boy.
Fin da subito colpisce la frase "Hello, my friend, yes, it's me" con cui M.I.A. vuole ricordare il "Hello, my friends" dei venditori ambulanti nei paesi in via di sviluppo in tutto il mondo che cercano di approcciare i turisti.
Successivamente si passa al tema del denaro, Maya spiega che "I hate money cause it makes me numb", ovvero le fanno fare cavolate, come comprare droghe, invece di utilizzarli in ciò che serve davvero. Con la parola numb intende, sia letteralmente che metaforicamente, l'effetto di intorpidimento causato dall'assunzione di sostanze stupefacenti.
Maggiore attenzione deve esse posta alla strofa di Afrikan Boy, le cui parole scivolano come un fiume in piena, grazie ad una sintassi precisa e studiata, sotto la base martellante.
Nella seconda parte del brano si inizia a parlare appunto degli immigrati, inserendovici pure riferimenti biografici del suo essere una rifugiata dello Sri Lanka, citando anche il fratello Sugu; col verso "Like jun cha cha ju gu ju gu cha! Jun cha cha ju gu ju gu cha!" vuole dare l'idea di come sarebbe potuto essere il suono, il ticchettio, se qualcuno avesse battuto sul lato di una barca contente una massa di clandestini, cercando quindi di ottenerlo in musica con l'ausilio di un sottofondo tamburellante.


Mango Pickle Down River feat. The Wilcannia Mob

In collaborazione con il quintetto rap The Wilcannia Boy, di origine aborigena, da Wilcannia, sud dell'Australia, M.I.A. ci presenta un'immagine intima e caratteristica fin dalla prima strofa intonata dal gruppo:

"When it's really hot we go to the river and swim
When we're goin' fishin', we catchin' the bream
When the river's high, we jump off the bridge"

Il coro della track, infatti, si pone autonomamente come la narrazione di un lontano ricordo d'infanzia della stessa Maya: quando era una bambina e viveva ancora nello Sri Lanka. Come in "Hussel" pure qua predomina un senso di lontananza causato certamente dal rimembrare ricordi di un passato agrodolce quale deve essere stato quello della cantante.
Ciò che ci mostra è un quadro simile a quello della maggior parte dei bambini durante le caldi estati del subcontinente, ovvero ragazzi che saltano fuori dai ponti, che si gettano nei fiumi sotto il sole cocente, alcuni nuotano e altri che invece pescano per procurarsi un pasto.
Sono versi che vengono ripetuti fino allo sfinimento più e più volte, grazie ad una metrica lineare e pulita, in piena sinfonia col ritmo lento della canzone, proprio per rendere vivida nelle nostre menti, e ai nostri occhi, i colori e i profumi di quelle terre tanto amate dalla rapper.


20 Dollar

"20 Dollar" risulta certamente essere uno dei pezzi più crudi dell'intero album.
M.I.A. parte col botto accanendosi contro coloro che si ostinano ad occuparsi senza sosta del mondo occidentale non curandosi invece del resto della civiltà, in cui vigono regole e dittature che mettono alla prova ogni giorno le vite di milioni di persone.
Il tema centrale del brano, per quanto scontato possa sembrare, sono proprio "twenty dollars": "Like do you know the cost of AK's up in Africa?"; ci troviamo di fronte ad una domanda retorica che trova risposta sia nel titolo che nei due versi successivi: "20 dollars ain't shit to you. But that's how much they are". In Africa è possibile acquistare un'arma a soli 20 dollari, bastano 20 dollari per uccidere centinaia di persone, e, la possibilità di commettere un omicidio in modo così facile ed economico fa sembrare la vita meno importante, meno preziosa. Ma ciò non importa a nessuno: "So they're gonna use the shit just to get far", tanto verranno usate in ogni caso, poiché abitiamo in un universo dove trionfa la violenza.

"Is gold diamonds helping ya?"

Anche questa è un'altra provocazione, "gli splendenti diamanti ti aiutano vero?", i diamanti infatti sono una delle prime cause di conflitti, sofferenze, morte e lavoro minorile in Africa.
La canzone si rivela così essere dedicata a tutti i ragazzi sfruttati, ai bambini soldato coinvolti nel terrorismo e nella guerra, "Little boys are acting up", e alle madri dei piccoli che vedono i loro figli dover vivere e crescere in un posto tanto pericoloso, "And baby mothers are going crazy"; causa di tutto ciò sono i leaders africani disinteressati all'incolumità della proprio gente, ma solo a se stessi: "And the leaders all around cracking up".
Finita la prima parte la canzone scivola e imperversa in un ritornello, che verrà ripetuto nella conclusione, in cui la voce di Maya è simile ad una cantilena confondibile con una disperata richiesta d'aiuto. Pure qui vi troviamo un riferimento musicale dato che il testo è preso dal coro della canzone "Where Is My Mind?" dei The Pixies.


World Town

La track #8 dell'album inizia col botto, in linea con le sonorità bollywoodiane dell'album, anche qui come sottofondo troviamo campionamenti e stili esotici; due colpi di pistola fanno letteralmente partire la prima strofa dove fin da subito vi troviamo uno degli infiniti riferimenti di cui "Kala" è costellato:

"If you're dead from the waist down
It's easy staying down"

Sottile da riconoscere, questa è una citazione del opera capostipite del genere dispotico, 1984, di George Orwell: nel libro, il protagonista Winston Smith, chiama Julia, la deuteragonista, una “rebel from the waist down” (ribelle dalla vita in giù), cioè che sostiene un atteggiamento scontroso esclusivamente per ottenere libertà sessuale; M.I.A. traspone questo concetto dichiarando che una maggiore libertà sessuale è necessaria per la liberazione globale.
La canzone continua:

"It ain't your weekly cash
That feeds my mum the rice"

Qui invece confuta la teoria economica, associata all'ex presidente degli States Ronald Reagan, del trickle-down, secondo cui i vantaggi economici in favore dei ceti più ricchi "trickle down", favorirebbero, per il fatto stesso, l'intera middle class. Quando in realtà: "That feeds my mum the rice", è il duro lavoro di sua madre ad averla sostenuta, non la ricchezza dei ricchi.


The Turn

Con "The Turn" M.I.A. se la prende invece più comoda, in questa ballad ipnotica la voce è accompagnata dal suono martellante dei tamburi in sottofondo. Il ritmo è infatti lieto, più calmo.
Nella sua interezza questo brano sembra quasi essere una riflessione personale, come se Maya avesse deciso, tramite questa canzone, di attuare un esame di coscienza nei propri confronti; inizia cantando "I don't read, yeah, I just guess", questa può essere vista quasi come un'ammissione di ignoranza e leggerezza intellettuale, ma che al medesimo tempo nasconde un valore più intimo, poiché M.I.A. vive la vita lasciando che i sentimenti la cullino con loro.
La causa di questo stato d'animo tanto confuso la scopriamo subito dopo: "Don't bring me with your messs", con quella s strascicata e sibillina capiamo che Maya è alle prese con un duro periodo di stress per colpa della mancanza di soldi. Sta cercando di concentrarsi, ma qualcosa la trattiene nel caos quotidiano:

"I'm trying to do my best
Get my head up out the stress
When the money turns the world
Your loving turns to less"

Cerca di fare del suo meglio, è consapevole dei suoi errori: "I learn by mistakes", è intenzionata a cambiare, a dare una svolta alla propria vita poiché "I'm done living life as a criminal".
Ed è proprio con l'aggancio successivo che un moto di forza la scuote, la rende consapevole:

"I'd rather go on
Go up and down
Turn myself all around
Then to stay down"

Piuttosto che arrendersi ad ordini impartiti da capi superiori, dalla società, continuerà a lottare per gli ideali che l'hanno sempre contraddistinta e per ciò che vuole diventare, ha sudato tanto per ottenere ciò che è adesso, ma "It's hard enough to get more", la strada si fa sempre più dura e ripida.


XR2

Questa track può essere riassunta come un insieme di esperienze acquisite durante le feste londinesi degli anni '90 a cui M.I.A. ha partecipato.
Con "XR2" si percepisce l'eredità dance lasciata da "Arular", vengono ripresi molti sounds dell'album precedente. Il tema dei party sfrenati e privi di inibizione alcuna sono mixati a quelli dell'album di debutto, fusi ovviamente assieme alla piega innovativa presa con questo CD.
"Where were you in '92?", è una domanda che viene ribadita quattro volte in una intera strofa, per poi concludersi con la ripetizione dell'anno '92. Strofa che contiene un doppio riferimento: il primo è legato alla crescita esponenziale attorno all'afflusso della musica R&B e rave durante quella decade. La seconda invece ad una delle maggiori vittorie avvenute nella storia del suo paese natio, ovvero quella della guerra civile tenutasi dal 1983 fino al 2009 (durante la produzione e la pubblicazione dell'album era ancora in atto), dove si scontrarono il governo dello Srilanka, col supporto dei civili Srilankesi, e l'organizzazione terroristica estremista delle "Tigri di Liberazione del Tamil Eelam", in inglese "Liberation Tigers of Tamil Eelam", da cui la sigla: LTTE; nonché l'inizio di un consistente calo dei tamil, gruppo etnico presente nel sud dell'India originario del Tamil Nadu, nello Sri Lanka; se si guarda con attenzione la copertina di "Arular", si può notare che nell'angolo a sinistra, in basso, è in realtà raffigurato un grafico che mette a confronto le zone controllate dall'LTTE nel 1992 e nel 2004.
Il titolo della canzone può essere compreso dal verso successivo: "This is how we do it in the XR2", parla infatti della macchina che utilizzava assieme ai suoi amici per girare Londra, una vecchia berlina molto popolare negli anni '80 e '90.
La canzone poi continua mostrandosi piena di riferimenti che culmineranno nel terzo verso, quello finale, dove sarà effettuata una lista infinita di oggetti tipici degli anni '90: XR2, 808 (una DrumMachine), MP3, MC Eiht (rapper statunitense pionere del gangsta rap), XOX (girl band), MC5 (rock band del Michigan), MTV, ADD (disturbo dell'attenzione)...


Paper Planes

La penultima track dell'album, una delle più celebri della cantante, sposa un ritmo ingannevolmente pacifico, trasognante, per dar vita ad un singolo che tratta il trito e ritrito cliché degli immigrati; composta grazie al campionamento della canzone "Straight to Hell" dei Clash.
In un'intervista M.I.A. ha spiegato per filo e per segno il suo significato intrinseco, decretando che questo è un brano "about immigration and immigrants", al fatto che la società in generale li veda come delle vere e proprie minacce. Ancora prima di essere delle normali persone in cerca di un futuro migliore, di una vita che possa soddisfarli poiché sono nati in un paese pregno di ingiustizie, guerre civili e conflitti, loro sono dei ladri, ladri che rubano lavoro alla gente.
"I fly like paper, get high like planes", gli immigrati lasciano i loro paesi come dei leggeri aeroplanini di carta:

"If you catch me at the border I got visas in my name
If you come around here, I make 'em all day
I get one done in a second if you wait"

M.I.A. qui interpreta un contraffattore di passaporti, ed è un'immagine assolutamente azzeccata poiché per "Kala" ha dovuto viaggiare per tutto il mondo per colpa della mancanza di un visto, ma ne ha comunque tratto un insegnamento, rigirando la questione a suo favore, prendendo quindi da ogni nazione in cui andava un po' della sua cultura musicale: il Bmore house, l'indie rock americano, il rap australiano, il bhangra, eccetera.
Fondamentale è la presenza del coro, che si presenterà tre volte nel brano, col verso:

"All I wanna do is *Bang Bang Bang Bang*
And *Click* *Ka-Ching*"

Si tratta di una citazione modificata del ritornello della hit del 1992 "Rump Shaker", di Wreckx-N-Effect, che fa "All I wanna do is zoom-a-zoom-zoom-zoom. And a poom-poom"; al posto di "zoom-a-zoom" verranno difatti sostituiti dei colpi di pistola, mentre a "poom-poom" il suono di un arma che si carica e quello tipico dei registratori di cassa. Il pezzo continua col secondo verso dove troviamo un altro campionamento, questa volta di "Swagga Like Us" del rapper T.I. nella strofa: "No one on the corner has swagger like us", dato che nessuno ha il suo swag, il suo stile.
Scivolando poi nel bridge, M.I.A., parlerà nuovamente della guerra civile dello Sri Lanka, ponendosi come rappresentante e porta voce delle "Third world democracy": vale a dire dei paesi che non fanno parte del mondo occidentale.
L'aspetto curioso e geniale di questa canzone è il fatto di riuscire ad accostare ad un sound tanto leggero ed esotico, fatto di battiti, schiocchi di dita che sostengono il ritmo tenendolo vivo, tematiche dissimili e contrarie al tono musicale quali la discriminazione che subiscono gli immigrati nella società contemporanea.


Come Around feat. Timbaland

Il pezzo di chiusura di "Kala", in collaborazione con Timbaland, esplora la tematica delle diverse contraddizioni, su scala mondiale, presenti nelle varie culture.
M.I.A. anche qui continua con i campionamenti, nello specifico quella della hit dance "Let the Music Play" degli Shamur, un gruppo di produttori italiani.
Fondamentale è il primo verso della rapper: "In a faraway land, we got shit made", spiega come tutti i beni di cui possono usufruire i fortunati abitanti del mondo occidentale provengano da "faraway land", da terre lontane, come la Cina o altre regioni dell'Asia. Continua poi con diversi riferimenti ai militari statunitensi citando i Ray-Ban, "Ray-Ban shades", poichè erano occhiali da sole utilizzati appunto dall'esercito, e anche i "warheads", che possono essere interpretate sia come le armi usate dai nativi americani, che i moderni missili odierni, ma accantonato alla parola "laids", ovvero "warheads laids", come scritto nella canzone, gli viene affidata un'altra accezione: quella di armi inutilizzate.
Successivamente parla del genere femminile, strofe significative sono: "Indian chicks, they get men laid!", possibile citazione dei Navy SEALs secondo cui le indiane sarebbero delle donne facili, e:

"Being a super-Indian babe
We black market, we black made
We hit shit out when it rains!"

Maya sottolinea come una donna possa rimanere forte, potente e indipendente pure continuando ad essere femminile, e invita poi l'ascoltare ad una sfida: "Would you come down and catch my train? Would you run down and play this game?".
Nel secondo verso vi troveremo Timbaland, che cercherà di corteggiare M.I.A. impersonificando una soldato americano, e che proprio in queste vesti porterà a termine la canzone.


In conclusione possiamo quindi dire che "Kala" è certamente un album riuscito, nonché uno dei migliori dell'ultimo ventennio, dietro al quale è stata presente una lavorazione continua e smisurata.
Riesce ad essere profondo e mirato nel voler esprimere una serie di messaggi taglienti, senza mai cadere nel banale.
Possiede un carisma sonoro raro da riscontrare nella scena musicale odierna, il tutto avviene grazie a dei testi provocatoriamente allusivi, straripanti di doppi sensi celati, tramite i quali M.I.A. esprime al meglio il proprio dissenso politico, la voglia di cambiare e rivoluzionare la realtà di una civiltà che sfortunatamente viene presa poco in considerazione a causa dell'ipocrisia occidentale.
È un disco sporco, perché mette in tavola tante questioni ancora irrisolte, ma parallelamente pulito nell'accortezza in cui i vari brani sono stati prodotti con grande maestria.

Voto da parte dello staff:

80/100

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