Recensione Album: "A Seat at The Table" di Solange

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Per chi l'avesse solo sentita e nominata per i fatti legati al Gossip di qualche anno fa, vi sottolineiamo che Solange ha alle spalle ben 13 anni di carriera di tutto rispetto. Ha pubblicato 3 progetti discografici: Solo Star nel 2003, il disco-funky Sol-Angel and The Hadley St. Dreams nel 2008 e True (EP) nel 2012. Tutti e tre vantano di parecchi consensi da parte della critica, nonostante lo scarso successo.
Questo non è il tutto, gode anche di una piccola carriera d'attrice (il suo ruolo di Camille in Ragazze nel Pallone, tutto o niente è abbastanza conosciuto) e ha scritto e composto dei brani per la sorella maggiore, Kelly Rowland e Michelle Williams.

Anche se sia stato sempre difficile per lei affermarsi nel campo musicale a causa della scelta di tenere un certo profilo basso, di seguire uno stile molto più sobrio e alternativo e per la sfortuna di essere la sorella minore di una certa Beyoncé (triste destino per quasi tutti/e le sorelle o i fratelli minori di popstar), Solange non c'è la siamo per niente dimenticata, dopo ben 4 anni dal suo ultimo progetto discografico, eccoci pronti a parlare della sua nuova musica.
Come ormai è tradizione di famiglia, circa una sola settimana fa, ci ha sorpreso annunciando il suo nuovo e terzo album in studio A Seat at The Table, pubblicandone la copertina e la tracklist sui social descrivendocelo come un "progetto sull'identità, sul senso di legittimazione, l'indipendenza, il dolore e la guarigione". Il disco, al quale ci ha impiegato ben 4 anni per realizzarlo, è accompagnato da un apposito Digital Art Booklet, ed è stato stato reso disponibile solo in formato digitale e in streaming a partire dal 30 settembre, mentre dal 18 novembre si potrà acquistarlo in tutti i negozi di dischi.




Dopo questa piccola premessa arriviamo dunque al sodo, dal titolo s'evince che A Seat at The Table non è un album qualunque ma ben di più, un invito a parlare su una delle tematiche più discusse e che sta più a cuore alla storia degli Stati Uniti d'America, ovvero i Black Live Matters, evitando di andare a toccare quei fatti scabrosi che hanno scosso l'opzione pubblica ma chiarendo una volta per tutte l'importanza di essere di colore al mondo d'oggi con delicatezza ed con un certo stile: rendendo i pensieri, i sentimenti e le opinioni valide dando voce alla musica con un coeso, tranquillo e sontuoso sound che fonde il Neo Soul con il funk, l'R&B e il soul psichedelico.

Se nel precedente EP la vedevamo a strizzare l'occhio verso all'ambiente alternative R&B mainstream, qui la direzione non è solo diversa ma più sofisticata poiché le aspirazioni e le atmosfere si presentano decisamente molto più raffinate, per non parlare della lunga schiera di collaboratori prestigiosi come: Lil Wayne, Sampha, The-Dream, BJ the Chicago Kid, Q-Tip, Kelly Rowland, Kelela e Tweet.


Questa Rise non è del tutto nuova poiché Solange l'anno scorso la presentò al pubblico durante un evento a Los Angeles per dedicarla alle vittime delle uccisioni avvenute durante le manifestazioni di Baltimora e Fergurson. Questa opening track contiene il fulcro dell'album nei seguenti versi che si continuano a ripete: "Fall in your ways,so you can crumble/fall in your ways,so you can sleep at night/fall in your ways, so you can wake up and rise" Un messaggio che ci dice di essere noi stessi e che contiene la chiave di questo viaggio verso la auto-legittimazione e la guarigione che sta per iniziare. La ripetitività dei versi non è per niente scontata, ha una funzione ben determinata: sottolineare che ogni giorno ci sveglieremo come la stessa persona, che ogni giorno dovremo lavorare duro ed andare a dormire per ricominciare da capo. L'unica cosa che può essere cambiata è il modo in cui la vediamo, imparando delle proprie sconfitte per poter andare avanti e rinascere.
Una melodia delicata che inizia repentinamente coinvolgendoti di sorpresa, per non parlare del finale dove si vanno ad aggiungere dei sintetizzatori e la voce del noto Raphael Saadiq, che ha collaborato nella maggior parte delle tracce, che da quel tocco in più d'autenticità. Rise ci insegna non solo come aprire un album in grande stile ma che a volte non bisogna sottovalutare un pezzo dalla sua durata.
    

Successivamente con l'aggiunta di organi, chitarre e bassi Rise si trasforma in Weary, densa al punto giusto per manifestare la propria stanchezza e solitudine in una società dove non esiste ancora l'eguaglianza, in cui bisogna reagisce mettendosi alla ricerca di una propria identità per trovarsi una posizione come donna di colore. I'm gonna look for my body, yeah,/I'll be black like real soon, ma il punto fondamentale sta nel dirci che non si sente solo stanca ma diffidente, perché c'è una gerarchia sociale basata sulla razza, il sesso, la classe sociale, e la sessualità ed essendo esseri umani, le donne non meritano di essere rese invisibili agli occhi della società e per questo c'è la necessita di un cambiamento che può avvenire mettendoci alla prova e rendendocene conto che ne facciamo parte, affrontando la vita di tutti i giorni: Be leery bout your place in the word, you're felling like you're chasing the world/you're leaving not a trace in the wold/but youre facinig the world.
Vediamo la comparsa della cantante R&B Tweet che presta la sua dolce e spensierata voce nel sottofondo per rendere la qualità del pezzo ben più alta.



Ciò che caratterizza ancor di più questo progetto sono la presenza di interludi che si vanno ad agganciare alla tracce che susseguono. Ed in essi possiamo sentire dei discorsi sostenuti da vari personaggi.
Il primo si presenta nella traccia #3, s'intitola The Glory Is You e sentiamo parlare il rapper Master P riguardo alla ricerca della pace interiore, rispondendo a quello che canta Solange in Weary: qualche volta in una società come questa che giudica per la tua razza e provenienza sociale, ci viene spontaneo chiederci dove sia la pace senza rendercene conto che è dentro in noi stessi e che la raggiungiamo facendo semplicemente il nostro dovere quotidiano, anche quando falliamo.
The Glory is You fa da intro al prossimo brano.



Ecco che ci troviamo difronte a una delle tracce che spicca di più per la spensierata, leggera e delicata atmosfera e interpretazione che Solange ci offre, con qualche reminiscenza di Minnie Riperton. Ma, testualmente parlando Cranes in The Sky si presenta molto forte, in quanto si parla della attitudine di colmare il dolore con l'alcool, il sesso e la musica per permetterle di andare lontano con la mente per dimenticare i dissensi e i rifiuti vissuti come donna di colore in America. I tried to drink it away/I tried to put it in the air/I tried to dance it away/I tried to change it with my hair.
Da notare anche un'altra ripetizione, quella della parola "away" che sta significare l'intenzione di liberarsi dall'emozioni negative (rappresentate dalle gru nel cielo), e man mano che la ripete, la sua voce diventa talmente forte da toccare le note più alte verso la fine per coinvolgere le altre donne a liberarsi dai propri dolori tramite la riflessione e l'interesse di prendersi cura.
La composizione di questo brano risale a circa ben 8 anni fa, quanto Raquel Saadiq si presentò un giorno da lei con un cd contente alcune basi strumentali composte da batteria, archi e bassi. Fu così che stese il testo intitolandola "Cranes", poi, terminata la lavorazione del disco, Solange decise di rivisitarla e di apportare alcune modifiche con l'aiuto di Rquel, incrementandone la produzione per vederne il pieno potenziale, è il risultato finale è questo, una traccia veramente rilassante con lo scopo di lasciarti andare al suono della sua voce melodica.
Il brano, come giusto che sia, è accompagnato da un visual che secondo da quanto lei riferito è una mediazione e mette al centro lei stessa nell'attività di Dio:


Nel seguente interludio a parlare è Matthew Knowles, suo padre, che racconta della sua infanzia, caratterizzata da eventi d'integrazione, segregazione e di razzismo che l'hanno fatto arrabbiare per lunghi anni. Ecco che arriva il momento giusto per parlare di rabbia e indignazione sulle note di Mad a fianco del rapper Lil Wayne che coglie questa occasione per dedicare un verso a tutte quelle persone che lo avevano criticato pesantemente per aver rivendicato che il razzismo era finito e che non ne aveva mai subito, infatti si dimostra una scelta piuttosto intelligente: Yeah, but I, got a lot to be mad about/Got a lot to be a man about/ Got a lot to pop a xan about/ I used to rock hand-me-downs, and now /I rock standing crowds.
Eppure, il verso brucia di vigore senza che lui debba alzare il tono, è questo è fondamentale, dal momento che la canzone in sé si presenti morbida e dolce ma focalizzata sulla rabbia, una diretta sfida allo stereotipo della donna di colore furiosa. "Avete la giusta ragione per essere fuori di testa" canta Solange ricordando alla sua gente che questa rabbia che si prova difronte a ogni sdegno è valida e reale.



Con la pulsante Don't You Wait, Solange ci porta nelle atmosfere del suo precedente EP True, rivolgendosi a tutti coloro che lo hanno amato, specialmente a quei critici bianchi che sottolinearono che aveva evitato discussioni scomode sul suo orientamento politico razziale a causa delle influenze rock e funky. Una risposta di ribellione a tutti quelli che le chiedevano di soffocare se stessa come artista di colore consapevole di ciò che stava accadendo. Solange avvisa che se state aspettando che lei scriva delle canzoni generiche sull'amore in un periodo politicamente pericoloso per i neri d'America, non fatevi troppe illusioni, perché ora è più decisa che mai.   
You made my bed, dealt with it when the lights went out/Now looking back for temporary nothings/ But I bet on it, /you'll all be here when the lights come out/ Still looking for nothing


Dopo aver dato la parola al padre, ora è arrivato il turno della madre Ms Tina Lawson, che ci parla dell'essere fieri della propria cultura e origini. E puntualizza che se sei orgoglioso di essere nero, non vuol dire che discrimini quelli appartenete ad un'altra razza. Questo svolge un ruolo fondamentale nel disco, facendo capire che Solange è stata cresciuta con dei giusti ideali.
Il discorso di Miss Tina apre la strada a Don't Touch My Hair, uno dei brani più coinvolgenti, immediati e ballabili al suo interno, un sound molto contagioso con echi anni 90. Vediamo la comparsa di Sampha che funge un po' da supporto nel pezzo accompagnandola nel ritornello.
Siamo difronte ad un inno al tutto al femminile e il messaggio è bello forte e chiaro: guai toccare i capelli ad una donna di colore senza il suo permesso, è la sua corona e la sua forma di espressione della propria identità, non una semplice attrazione. Un vero e proprio manifesto che celebra le capacità naturali e le qualità uniche delle donne di colore afroamericane.


Dopo aver rivendicato il suo essere donna di colore, ora arriva il turno di rivendicare la propria patria e origini sulle note di Where Do We Go (preceduta dall'interludio This Moment). Una delle tracce più personali del disco che ci parla di come la sua famiglia è stata costretta ad abbandonare la loro terra nativa, la Louisiana. Si riesce a percepire in men che non si dica il senso di smarrimento e di disperazione quando si è costretti a lasciare un posto a cui sei affezionato, che purtroppo è diventato un ambiente ostile, difficile è particolarmente invivibile. Speakers off tonight/ Turn off your headlights tonight/ Don't drive the road too slow/ Don't look too close tonight/ This used to be ours/This used to be you and I's What used to be mine/ Say your goodbyes.
Solange per descrivere questo momento raccapricciante ci offre un canto leggero quasi celestiale su un sensuale pianoforte che suona con un'andatura ritmata e veloce per renderci conto di come sia stata frenetica quella fuga.

Ecco che salta fuori un'altro interludio che tratta dell'indipendenza, specialmente sulla formazione della famigerata No Limit Records. L'interludio prosegue con la narrazione dei vari obbiettivi che la comunità nera è riuscita a raggiungere durante la storia e chi poteva raccontarlo al meglio se non  Master P? Non ci stupiamo di questa sua seconda apparizione visto che per Solange è stata una forma d'ispirazione durante la realizzazione di questo progetto.
Se Don't Touch My Hair era appositamente per le donne di colore, F.U.B.I., che sta per For Us By Us, si rivolge a tutta la comunità nera con queste parole: "A tutti i negri sparsi per il mondo.. questa roba e per voi" . Il titolo non è del tutto casuale perché fa riferimento a un noto brand di abbigliamento nato negli anni 90 molto popolare tra la comminuta nera hip-hop statunitense. A fianco di Solange abbiamo The Dream e Chicago Kid che ci servono alcune parti vocali da farci muovere la testa. Solange spicca a più non posso non risparmiandoci dei versi liberi che celebrano i dolori e i trionfi vissuti della comunità nera, che verranno ricordati anche in futuro I hope my son will bang this song so loud / That he almost makes his walls fall down / Cos his momma wants to make him proud / Oh to be us," it makes me smile.  A caratterizzare il pezzo è la base tipicamente old school accompagnata da trombe ed il gran finale di vocalizzi soavi.



In Borderline (Ode to The Self-Care) riaffiora ancora quella tematica già affrontata in Cranes To The Sky, ovvero di quella del prendersi cura di noi stessi facendo un break, estremamente necessario in una società come questa dove le cose si fanno sempre più difficili da sopportare: “t's war outside these walls/ Baby, it's war outside these doors….Let's play it safe tonight.”
Una buona filler dove la voce di Solange si presenta delicata senza appesantire uno stato d'animo già ferito e stanco, per non parlare della tastiera e batteria suonata da Q-Tip che ci offre qualche reminiscenza di Aaliyah e della A Tribe Called Quest.

Il viaggio prosegue con un Interludio Acappella, dove sentiamo l'armonia della voce di Nia Andrews e di Kelly Rowland che lanciano il messaggio di "non permettere a nessuno di rubare la tua magia".
Il tutto si sviluppa sulle note della frizzante Junie che ci porta indietro agli anni 70 grazie al sound dinamico. Nel brano vediamo André 3000, già comparso nell'album Blonde di Frank Ocean alle prese con il ritornello.

Dopo aver recepito il messaggio di non farci abbattere da nessuno, parla di nuovo Master P, esortandoci che nella vita non possiamo porci dei limiti.
Poi il tutto si tranquillizza grazie alle atmosfere elettroniche e soul di Don't Wish Me Well, altra chicca del disco. Un sound contagioso ed ipnotico che diviene ancora di più affascinante non appena inizia il canto di Solange che intensifica ancora di più il tutto man mano che cresce nella sua essenza.
In modo perfetto per spiegare le sue convinzioni di questo progresso che purtroppo allungheranno le distanze da quelli che non vogliono coglierne il significato.



Nell'interludio Pedestals abbiamo un'altra raccomandazione di Master P riguardo alla cura di se stessi e all'indipendenza riguardo alla guarigione, cioè che a volte devi lasciare che una persona si riabiliti da sola, per il bene delle generazioni future.
And if your boys go down, I know you'll never tell/ You're a superstar/You're a superstar/Always shining in the night/And your skin glowing in the moonlight.
Questo è ciò che canta Solange con la sua stimata collega Kelela sulle note di Scale per tenere in guarda le donne di colore dagli uomini, poiché a volte si possono presentare non all'altezza delle loro aspettative: "la strade dicono che siete dei re, ma per il mondo rimanete una nullità". Ecco che ci troviamo difronte a un altro inno del tutto femminista che guarda in faccia alla realtà caratterizzato da una base molto lenta, felpata e melodica suonata al pianoforte. E Solange e Kelela si rilevano una accoppiata avvincente, le due voci s'amalgamo talmente in modo perfetto che sembra quasi difficile a distinguerle.

Alla conclusione del disco ci parla Master P che lancia un messaggio davvero importante, un forte incoraggiamento verso a tutti i neri d'america: "Siamo venuti qui come schiavi, ma ne usciremo come dei reali."  Avete imparato quindi la lezione?


Forse ci siamo, finalmente dopo anni ed anni di carriera Solange finalmente riceverà quel riconoscimento che tutti s'aspettavano e che si meritava da tempo. Il disco è un progetto a 360°, il tutto è curato nei minimi dettagli, non c'è che dire, il lungo lavoro ne è valso davvero la pena. Non sarà molto immediato come il precedente EP che era mirato a farci ballare, ma A Seat To The Table, come ogni progetto con la P maiuscola, per essere ben capito e assimilato merita di essere ascoltato più volte per poterne cogliere la sua essenza. Se Lemonade di Beyoncé chiamava tutte donne di colore d'America ad agire, A Seat At The Table di Solange è una pura riflessione sulle esperienze vissute sia dagli uomini e sia dalle donne di colore ed una chiamata alla riabilitazione per scacciare tutte le negatività e le sofferenze subite, una pura medicina. Non ci stupiremo minimamente se nelle classifiche delle maggiori riviste musicali di fine anno troveremo all'interno ben due cognomi Knowles, i genitori si possono considerare fieri e più che soddisfatti.


Valutazione concordata dallo staff:
73/100  

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