Recensione Album: "Goddess" di Banks

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Febbraio 2013.

Jillian Rose Banks pubblica nel vasto internet il suo primo pezzo “Before I Ever Meet You” senza rivelare quasi nulla sua figura personale, ignara del fatto che quello sarebbe stato solo l’inizio di tutto.
La sua carriera, da quel momento è stata solo una costante ascesa verso il successo nel panorama musicale di nicchia, tanto che l’artista tutt’ora è molto richiesta da Festival importanti e programmi tv famosi.
L’artista nell'adolescenza ha dovuto lottare con una forte depressione che l’ha portata a scoprire il mondo della musica, che però rimase un segreto da tenere per se come un qualcosa su cui contare…un diario, una lettera o una foto.
La ragazza durante il suo percorso di studi dove, inoltre, si laurea in psicologia…porta avanti altre passioni come la scrittura, il disegno, lo scrivere versi di canzoni rap e lo scrivere e produrre musica.
Dopo due Ep, “Fall Over” e “London”, l’artista inizia a promuovere la sua musica pubblicamente come opening act al tour di The Weeknd.
Dopo un anno, rilascia il suo album di debutto “Goddess” (2014) che purtroppo per i fan conterrà davvero poco materiale inedito, in quanto sono state inserite tutte le canzoni del suo primo EP e vari singoli promozionali.


Lo stile musicale dell’artista credo sia la veste perfetta per la sua voce sinuosa e misteriosa, ma allo stesso tempo gelida come il ghiaccio.
Le sue produzioni sono di una perizia assurda e aggiungono sfumature dark al suo minuzioso Alternative R&B, come potremo notare nell'ascolto del suo primo lavoro.
I suoi testi, colonna portante della sua musica, sono molto ben scritti (non a caso la sua più grande ispirazione è Fiona Apple) e spesso molto difficili da interpretare a prima letta…forse proprio per lo studio di psicologia che ha intrapreso l’artista; infatti possiamo notare una certa analisi dettagliata nei confronti della mente della persona di cui parlerà.



Ad aprire il progetto in modo egregio ci pensa “Alibi”, una disperata preghiera al suo uomo; una richiesta d’aiuto e di conforto in cui Banks prega di aiutarla a convincerla di non essere un mostro per averlo trattato in modo crudele…potremo notare come in molti suoi pezzi lei molto spesso si descrive come una persona cattiva e meschina in amore, frutto di un profondo auto-esame e del suo passato.
Parlando di musica, la canzone ha un beat elegante e freddo…a momenti etereo ma privo di ogni emozione, particolarità che avranno anche le seguenti due canzoni.
Goddess e Waiting Game sono una “doppietta vincente”; entrambe munite, come Alibi, di una base elettronica ridotta all’osso che hanno il potere di catapultarci nel mondo scuro e tenebroso dell’artista.
In Goddess Jillian si definisce come una dea, una dea non buona;


"Now you gotta deal with this glitch on your shoulder
Fucking with the goddess and you get a little colder
It's colder, colder”
...forse causa del comportamento del suo ex, che in cambio del suo amore non le ha dato nulla.

In “Waiting Game” possiamo ascoltare una base che nei versi è composta solo da piano e vocals, ma più i minuti passano più la base continua a riempirsi di dettagli e vocals tenebrosi; in fatto di testo la canzone parla di una difficile relazione che ha come sfondo un tira e molla continuo tra i due.
Arriviamo ora alla parte più alta dell’album, Brain, un pezzo eccelso dalla produzione, all’uso della voce e al testo.
Interessante l’uso della voce e di effetti audio nel secondo verso, dove la sua voce sembra sul punto di esplodere e portare con se le accuse fatte in questo pezzo verso il suo amante, che viene accusato di essere un calcolatore e una persona finta che cerca di “farsi bella” agli occhi di Jillian per conquistare il suo cuore.
Prima di cambiare registro ci troviamo di fronte ad un uno dei migliori pezzi dell’intero album, “This Is What It Feels Like”, caratterizzato da una delle più tormentate e cupe produzioni dell’intero album; degna di nota l’introduzione del pezzo che trovo altamente evocativa e mistica.
Usciamo immediatamente dal mondo contorto e dark dell’artista e ci troviamo di fronte ad una potente quanto struggente ballad al piano, dove la particolare voce dell’artista spicca al massimo senza nessun tipo di distorsione.
Il testo lo trovo davvero molto bello e toccante, in particolare i vari riferimenti al suo passato e al fatto che questi avvenimenti l’hanno cambiata e resa cattiva e solitaria, invitando il suo amante a scappare il più presto possibile via da lei per non rimanere intrappolato nel suo amore difficile da sostenere.
Di seguito abbiamo le particolari e non particolarmente rilevanti, “Stick” e “F*ck Em Only We Know” che, però, fanno da ponte ad uno dei pezzi più interessanti dell’intero progetto, ovvero "Drowning".

Le prossime due canzoni, “Drowning” e “Beggin For Thread”, possono essere definite le più orecchiabili del progetto ma non per questo banali, anzi.
Downing, adornata da dei versi ovattati e misteriosi e da una produzione minimal e apparentemente semplice è un “a tu per tu” con il suo ragazzo, accusato di essere disonesto.

"Take it from the girl you claim to love you're gonna get some bad karma
I'm the one who had to learn to build a heart made of armor
From the girl who made you soup and tied your shoes when you were hurting
You are not deserving you are not deserving"

“Beggin For Thread”, invece, ci porta su un ritmo diverso e più up-beat; caratterizzato però da una produzione più complessa e arzigogolata.
Questa volta Banks inizia la canzone con una critica a se stessa, che io trovo una delle line più belle dell’artista, ovvero:

"So I got edges that scratch
And sometimes I don't got a filter
But I'm so tired of eating all of my misspoken words
I know my disposition gets confusing
My disproportionate reactions fuse with my eager state
That's why you wanna come out and play with me"

La canzone ha un bridge degno di nota che da una spinta in più e la rende uno dei punti più alti dell’album e da un testo ben scritto.

Se prima eravamo rimasti colpiti dall'improvviso strappo musicale avvenuto tra “This Is What It Feels Like” a “You Should Know Where I’m Coming From”, ora lo sarete ancora di più.
A mio parere Change ha il testo più bello della carriera di Banks per ora ed è di una onestà e crudezza unica, a tratti meschino.
La base è una raffinatissima combinazione di una vellutata batteria, un basso e qualche soave vocals qua e la che hanno il compito di adornare alla perfezione la voce di Jillian che canta con una spontaneità unica queste parole al suo amante:

Never guilty
Say it ain't your fault
Because you had an emotionally abusive daddy
And cause of this you don't know how to act

Poor poor baby
Say you can't help the fact that you're so crazy
And you're so good at making me feel guilty

Da “Change” in poi l’album si fa di una dolcezza e semplicità unica, dalla delicata e armoniosa “Someone New” che presenta solamente una chitarra e violini nella base che fa da sfondo ad un testo molto bello e nostalgico alla camaleontica Warm Water (che vi consiglio di ascoltare anche sotto una chiave più ambient nel remix dal duo musicale Snakehips) e, infine, la bellissima ballad piano-voce “Under The Water” che tratti esplode in un ritornello glorioso.

Senza troppi peli sulla lingua posso definire, a mio avviso, questo album uno dei migliori del 2014.
Trovo sia molto azzeccato il genere musicale che l’artista ha deciso di intraprendere e i testi particolarmente intriganti di cui è farcito il progetto.
Ora siamo a pochissimi giorni di distanza dal suo secondo LP, “The Altar”, che sembra avere dei ritmi più upbeat e cupi del primo progetto.
In attesa di ascoltare il secondo lavoro fatemi sapere nei commenti cosa pensate di questo lavoro, e se volete, date un parere generale sull’artista e perché vi piace o, perché no, il motivo per cui non vi piace.

Recensione a cura di: Lorenzo (full on lady wood)
Voto concordato dallo staff di Booklet:

78/100

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